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ECCELLENZE SANITARIE LOMBARDE E INTERNAZIONALIZZAZIONE: INTERVISTA A GIAN LUCA MONDOVI’ – Tavolo di Lavoro Confindustria Lombardia Sanità e Servizi e Head of International Business di Humanitas

La Lombardia è l’unica Regione ad avere creato un gruppo, in seno al capitolo regionale di Confindustria (Assolombarda), dedicato all’internazionalizzazione del proprio sistema sanitario. Da dove nasce questa idea e quali obiettivi si pone?

Il gruppo, che oggi conta 15 ospedali lombardi, nasce dalla consapevolezza che la Lombardia possiede uno dei migliori sistemi sanitari a livello mondiale e può, quindi, competere con i provider internazionali di prestazioni sanitarie. L’idea iniziale nacque in occasione di Expo2015 e, insieme a Cristian Ferraris, Responsabile dell’Area Gruppi di Assolombarda, iniziammo a lavorare a questo progetto, consapevoli che solo facendo sistema sarebbe stato possibile competere con i distretti sanitari internazionali. Potevamo contare su due eccellenze di partenza: quella complessiva del nostro Sistema Sanitario Nazionale, secondo solo alla Francia nelle classifiche dell’OMS, e quella particolare della Lombardia che, grazie ai suoi ospedali pubblici e privati, centri di ricerca e Università di Medicina, si pone al vertice della sanità nazionale. La prima sfida da affrontare è stata culturale: gli ospedali italiani, inclusi quelli privati convenzionati, sono cresciuti nel tempo avendo sostanzialmente come unico cliente il Sistema Sanitario Nazionale. Occorreva quindi compiere uno sforzo organizzativo, logistico e culturale per aprirsi verso l’internazionalizzazione, anche adeguando standard gestionali e qualitativi. Questo ha ulteriormente accresciuto la qualità delle strutture lombarde.

Quali sono le peculiarità del sistema lombardo e quali gli asset vincenti a livello internazionale?

Oggi, non esiste un brand Italia, un Made in Italy nella Sanità. Probabilmente non c’è consapevolezza diffusa del valore del nostro sistema e della capacità delle nostre strutture. In un mondo che si muove in gran parte sul passaparola e sul trust, in primis tra referenti medici ma anche da paziente a paziente, questo è uno svantaggio di partenza che va colmato velocemente, soprattutto rispetto a paesi come USA, UK, Germania o Francia che lavorano già da diversi anni in questo senso. Occorre quindi fare sistema, mettere a fattor comune competenze, conoscenze ma anche investimenti per fare massa critica e sviluppare iniziative comuni. In primis fra le strutture ospedaliere ma anche attraverso le associazioni come Confindustria o le istituzioni governative, come avviene all’estero. In Turchia, per esempio, lo stato finanzia in gran parte a fondo perduto numerose attività di marketing promosse dal settore. Senza entrare nel tema dei finanziamenti, basterebbe allineare le nostre regole a quelle degli altri paesi europei: penso all’IVA, che ad esempio gli ospedali tedeschi e spagnoli non devono includere nelle proprie fatture per i pazienti internazionali, garantendosi un evidente vantaggio competitivo sul piano tariffario; o anche alle modalità di rilascio dei visti Schengen dove, pur nel rispetto delle normative, non tutti i Consolati sono ugualmente sensibili nella concessione di visti sanitari.

Competere a livello internazionale significa anche garantire ai pazienti standard qualitativi omogenei in strutture diverse e in nazioni diverse. Quali sono le certificazioni più utilizzate?

Esistono numerose certificazioni validissime rilasciate per le singole specialità o unità ma, a mio avviso, l’unica certificazione inerente l’organizzazione ospedaliera nel suo complesso e internazionalmente riconosciuta che possa essere definita omnicomprensiva è quella di Joint Commission International. Nel 2002Humanitas Research Hospital è stato il primo policlinico italiano ad ottenerla, in contemporanea con altri ospedali, monospecialistici. Questa certificazione è un biglietto da visita indispensabile per proporsi in ambito internazionale come provider di servizi consulenziali o di educational, in un’ottica che non si ferma alla cura dei pazienti. I pazienti, che spesso scrivono via internet, sono molto informati e interessati su indicatori di qualità prima di scegliere di dove andarsi a curare, ma trattandosi di un pubblico variegato non è semplice generalizzare. La certificazione Joint Commission è stata ottenuta da poco meno di 1.000 ospedali nel mondo, di cui 18 in Italia, 4 dei quali fanno parte del Gruppo Humanitas. La Regione Lombardia ha avuto il merito di far conoscere, oltre 10 anni fa, questa certificazione, proponendo ad alcune strutture Lombarde, tra cui Humanitas e IEO, un progetto di pre-accreditamento sulla base degli standard Joint Commission. Successivamente ogni struttura ha potuto, su base volontaria, scegliere di proseguire in questo percorso.

Che tipo di collaborazioni avete con le istituzioni e con gli altri attori della filiera del Turismo Medicale?

Disponiamo di un ufficio internazionale, con personale che fa da primo riferimento per i pazienti e i vari interlocutori della filiera del turismo medicale. Si tratta di una struttura, che segue il paziente dal primo contatto fino al suo rientro a casa e al post-care. Disponiamo di veri e propri tutor amministrativi che seguono ogni paziente nella gestione del record clinico (traduzione della cartella, identificazione dello specialista di riferimento e del medico tutor, gestione delle pratiche burocratiche, trasporti medici, prenotazione di location per il soggiorno in base alle esigenze e alle richieste dal paziente….). Una delle prime regole per la gestione e lo sviluppo di queste situazioni è la flessibilità e la capacità di adattarsi alle differenze culturali. Ma soprattutto la trasparenza verso il paziente. Abbiamo provato più volte a coinvolgere la filiera turistica per far comprendere agli operatori che potrebbero in qualche modo collegarsi al Turismo Medicale -cosa che in altri paesi avviene di frequente anche grazie alla maggiore sensibilità dei pazienti stranieri, anche i più giovani, rispetto alla prevenzione – legando ad esempio una vacanza alla degenza o a check up,. Tuttavia finora abbiamo sempre trovato pochi riscontri.

Cosa spinge un paziente a guardare fuori dai propri confini per trovare una cura? E cosa può trovare in Italia?

La spinta primaria per il Turista Medicale resta sempre la consapevolezza o il timore di non trovare una risposta adeguata ai propri bisogni di salute nel proprio paese d’origine. Su questa necessità si innesta poi una cultura sempre più globalizzata. Il nostro paese ha l’enorme vantaggio di essere conosciuto, come luogo di arte, moda e buon cibo, e ottimamente collegato con tutto il mondo. Promuovere adeguatamente il fatto che, oltre alle vie centrali di Milano per lo shopping, in Italia vi è la possibilità di fare check up e sottoporsi a cure mediche di alta qualità troverebbe un terreno già preparato. Ogni nazione o distretto sanitario, tuttavia, sceglie un’area medica di elezione e quella della Lombardia dev’essere sull’alta specialità medica. Sicuramente oncologia, neurologia e ortopedia rappresentano le 3 principali aree nelle quali possiamo emergere e competere a livello mondiale.

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